Ritorno a scuola- Indagine Ipsos per Save the Children

Ritorno a scuola- Indagine Ipsos per Save the Children

21/09/2020




Care/i Amiche/i,


Secondo una nuova indagine realizzata da Ipsos per Save the Children, pubblicata nella nuova ricerca “La scuola che verrà: attese, incertezze e sogni all'avvio del nuovo anno scolastico”, al momento del sondaggio il 66% dei genitori era a conoscenza della data di riapertura delle scuole, ma quasi 7 su 10 non avevano ricevuto alcuna comunicazione ufficiale sulle modalità organizzative per l'anno scolastico. Solo 1 genitore su 4 sapeva già se la classe del proprio figlio sarebbe stata divisa in gruppi.
Guardando al nuovo anno, 7 genitori su 10 dichiarano di avere preoccupazioni relative al rientro a scuola. Prima fra tutte l'incertezza circa le modalità di ripresa (60%), seguita dai rischi legati al mancato distanziamento fisico (51%) e quindi dalle possibili variazioni di orario di entrata/uscita da scuola che potrebbero non essere compatibili con gli impegni lavorativi dei genitori (37%), specialmente per i genitori di bambini di 4-6 anni (45%).
In questo caso i nonni, per chi li ha, tornano ad essere il pilastro del welfare familiare, per il 22% dei genitori intervistati. Anche la rinuncia al lavoro o la riduzione dell'orario lavorativo sembra essere una delle opzioni delle famiglie, in particolare quelle con figli più piccoli: una scelta che però – confermando ancora una volta il gender gap (divario di genere) del nostro paese – ricadrebbe principalmente sulle madri (23%) più che sui padri (4%).
La preoccupazione per le condizioni economiche peggiorate negli ultimi mesi, si riflette anche sul rientro a scuola: 1 genitore su 10 crede di non potersi permettere l'acquisto di tutti i libri scolastici, 7 genitori su 10 fra coloro che usufruiscono del servizio mensa si dichiarano preoccupati della possibile sospensione del servizio a causa delle norme anti-Covid, mentre 2 genitori su 10 fra coloro che ne hanno usufruito negli anni passati per i propri figli di 4-12 anni, pensano di non poter sostenere le spese il prossimo anno. I primi effetti di questa situazione si fanno sentire sulle scelte dei ragazzi sul proprio corso di studi: l'8% dei genitori intervistati dichiara che il proprio figlio pensava di iscriversi al liceo ma, a causa delle difficoltà economiche che sta attraversando la famiglia, ha scelto una scuola professionale.
Già prima della crisi l'Italia presentava un quadro critico relativamente al fallimento scolastico, la dispersione e la povertà minorile. Il nostro Paese spende per l'istruzione e università circa il 4% del PIL (ultimo dato disponibile, 2018) rispetto al 4,6% della media EU. La sola riforma del 2008 ha ridotto gli investimenti in istruzione di ben 8 miliardi di euro in 3 anni, operando tagli lineari, ovvero in percentuale sulla voce di costo, con poca attenzione al loro possibile impatto. La spesa per l'istruzione è così crollata dal 4,6% del 2008 al 4,1% del 2011, fino al minimo storico del 2016 e 2017 del 3,9%. Dal 2011 al 2016 l'Italia ha speso generalmente di più in interessi sul debito che sull'istruzione.
Nel corso degli anni sono stati avviati una serie di progetti volti proprio a combattere la povertà educativa. L'emergenza Coronavirus ha però reso necessario un riorientamento di queste iniziative per rispondere al “learning loss” (perdita di apprendimento) dei bambini e degli adolescenti che vivono in contesti più svantaggiati, dovuto al lungo confinamento. È per questo motivo, che è stato lanciato, a giugno scorso, il programma "Riscriviamo il Futuro", con l'ambizione di raggiungere 100 mila bambini e adolescenti sul territorio nazionale e le loro famiglie, nei prossimi 15 mesi (vedi Circolare 368/SS/amb del 13 maggio 2020).
Una delle principali preoccupazioni delle famiglie arriva dal rischio di incompatibilità fra orari scolastici dei bambini che frequentano elementari e medie e quelli di lavoro dei genitori. Le soluzioni previste dai genitori differiscono a seconda della fascia di età dei figli, ma ancora una volta emerge il ruolo fondamentale di madri (23%) e nonni (28%) nel supporto alla gestione della routine familiare nel caso di bambini più piccoli: un paradosso se si pensa che principalmente per proteggere i più anziani dal rischio di contagio, i bambini e gli adolescenti sono stati costretti a mesi di didattica a distanza e di lockdown.
La prima infanzia rappresenta un momento cruciale per lo sviluppo cognitivo, socio-emozionale e fisico del bambino. Guardando all'anno appena trascorso, un bambino su 2 di età compresa fra gli 1 e i 3 anni non ha frequentato alcun nido o servizio integrativo, rimanendo a casa con un familiare nella quasi totalità dei casi. In più di un caso su tre il principale motivo per cui il bambino non ha frequentato il nido/servizio integrativo è stato di tipo economico.
La povertà educativa comincia sin dalla primissima infanzia e per questo sarà fondamentale che venga fatto un investimento ambizioso per i bambini e in particolare i più piccoli.

Per ulteriori approfondimenti in allegato l'indagine.